LUCCA, 2 ottobre – L’anonimato. Perfino su questo giornale spesso infuria – nei commenti – la polemica sulle regole. Il tema è la presenza del nome nei commenti. Chi vuole usare un nickname, chi lo accusa di non firmare le proprie affermazioni, chi sostiene che l’anonimato è un diritto, chi invece che dovrebbe essere obbligatorio “metterci la faccia” in quel che si afferma.

Ora, a prescindere dal fatto ch’io firmi un commento con un nome veridico ma fasullo, tipo “Giulio Bianchi” al posto del vero, o con un nickname come “Cittadino Previdente”, dobbiamo considerare che se qualcuno si prende la briga di scrivere qualcosa lo fa perchè lo pensa e/o vuol farlo pensare. Su questo sono tutti d’accordo.

È solo questo il punto centrale: il valore del commento di qualcuno ad un articolo, così come il valore delle idee che arrivano al pubblico, è l’unica cosa che dobbiamo e possiamo considerare. L’internet è strumento libero se conta quello che si scrive o si dice, non se conta il suo autore.

Nella mia esperienza personale ho lavorato spesso alla gestione e alla crescita di profili di clienti sui social media. Abbiamo verificato che il commento negativo è sempre benvenuto. Non conta chi lo fa, conta cosa si esprime. La valutazione di merito dovrebbe essere circoscritta al solo contenuto. Se il commento è denigratorio, o blasfemo, o palesemente costruito allo scopo di indirizzare il pensiero, è molto facile partecipare alla conversazione e replicare in modo irreprensibile. Spesso volgendo il senso della conversazione a nostro vantaggio, coinvolgendo i lettori che seguono lo scambio. Diventa sempre una occasione positiva.

“Ma se si offende qualcun’altro celandosi dietro una falsa identità?”, dicono alcuni. Chi lo dice è sprovveduto, o in malafede. Se l’offesa è grave, infondata, e determina un danno reale, il diritto ci tutela già dalla calunnia. Ormai tutti sanno che – anche se si usa uno pseudonimo – ogni singola connessione può essere tracciata, a partire dall’indirizzo IP con cui ci colleghiamo, fino al computer, collegato all’internet, che ha trasmesso il messaggio.

Se il commento è argomentato, ponderato, serio e civile, cosa c’è di sbagliato se manca la firma? Il fatto in sé che quel commento è vero, che è vero il pensiero di chi l’ha scritto, è ciò che conta; alla fine sapere come si chiama l’autore non è la cosa importante, a meno che non si pensi sempre con la logica – cui ci hanno abituato – della lesa maestà.  Non è tollerata dai sovrani che chiedono rispetto senza offrirlo, che non accettano alle nuove regole. Chi partecipa alla conversazione e riceve un commento, una recensione negativa, una critica, invece di pensare a come sbarazzarsene o a come renderla autorevole secondo il proprio bisogno dovrebbe prima imparare ad affrontarla, e se necessario a riconsiderare il proprio punto di vista.

La rete offre alla comunicazione un paradigma nuovo sotto certi aspetti. Può spogliare le conversazioni dei fasti acquisiti con la reputazione. Negli anni dell’internet (gli ultimi quindici-venti, in Italia) sono nate amicizie e simpatie in rete, senza che le persone si conoscessero realmente all’inizio, magari frequentandosi dopo. In un dato momento, in una certa situazione, due soggetti possono commentare liberamente, conversare e scambiare, senza conoscere la reciproca storia, posizione e reputazione, elementi determinati non dal pensiero, ma dalle relazioni sociali.

Il problema della riconoscibilità esiste solo se si guarda alla comunicazione in rete come a quella condotta sui mezzi vecchi, gli old media (detto nell’albionico idioma suona meglio). Sull’internet la forza sta nel pensiero fluido, che si determina quasi in tempo reale sfuggendo alle logiche imposte a determinare l’opinione pubblica. Il pensiero della gente, delle persone.

Probabilmente il problema viene sollevato perché vorremmo dare un volto a chi non la pensa come noi, per attaccarlo su altri fronti, specie quando chi non la pensa come noi ha ragione. In certi casi accade. Una logica di potere antica, basata su condizioni ormai desuete, illogica per com’è fatta la rete.

Anche chi lavora e crea valore per la propria attività attraverso la rete spesso non capisce questa opportunità. Nel turismo, tutti lo sanno, la presenza delle attività ricettive o di ristorazione sull’internet è importante. Serve ad avvicinare nuovi clienti, a presentare i propri servizi, a generare contatti che si traducono in visite. Però, quasi tutti gli operatori del settore che trovano giovamento da questi strumenti lamentano la presenza – a volte – di commenti negativi, chiaramente poi visibili a tutti, che a loro dire “rovinano la reputazione”. Secondo loro sono commenti fasulli, lasciati forse dagli stessi concorrenti, per questo chiedono a gran voce la certezza della fonte. Insomma, si vorrebbe un internet ad un solo senso, io parlo, tu ascolti, se vuoi dire qualcosa di positivo va bene, altrimenti zitto. Illogico. E contrario ai principi della comunicazione in rete.

La comunicazione non cambia, i mezzi per comunicare sì. E con essi, cambia la forma. Si può decidere di non essere su internet, ma la rete parlerà di voi comunque, dice Manuel Castells. E bisogna imparare a misurarsi con questo, imparare a mettersi in discussione, capire che la reputazione non può determinare il consenso per diritto acquisito.

Perchè l’internet, e l’anonimato, sono un’opportunità. Per tutti. Forse l’ultima opportunità che abbiamo per essere liberi di esprimerci, con la stessa forza di chi – in passato – non avremmo potuto nemmeno avvicinare: chi imponeva il proprio pensiero dall’alto di una posizione acquisita o acquistata. La qualità del pensiero conquista, invece, molto più del pensiero autorevole per titoli. Chi può affermare che un giornalista scrive bene – o scrive il giusto – solo perchè parte di una organizzazione conosciuta?

Ciò che conta davvero alla fine è l’intelligenza e la moderazione, la qualità di pensiero e la cultura, con cui comunichiamo in rete. Che possiamo apprendere dall’internet, con i suoi strumenti straordinari e disponibili per far crescere la propria conoscenza.

Non importa la faccia. Conta la mente. La qualità – buona o cattiva – della comunicazione non si può nascondere dietro un nick.